Salvatore larocca

Appunti su Candidoni e oltre…

Com’è umano il 118

Posted by salvatorelarocca su 31 dicembre 2014

ambulanzaQuando si parla di sanità, ormai, particolarmente nel nostro territorio, è sinonimo di inefficienza, di sperpero, di pressappochismo, di demoralizzazione, anche se quasi sempre si fa l’errore di pensarlo per astratto, mentre invece è concreto, reale con nomi e cognomi, con facce e sembianze. Una nonnina, ottantasette anni, attaccata costantemente all’ossigeno, con una serie di patologie, anche oncologiche, in ultimo, nella tarda serata del trenta, cade sbattendo la testa. Proprio sull’approssimarsi della festa, del veglione, del fine anno, accidentaccio. Accorsi, la nuora ed il figlio, la ristabiliscono sul letto, non sembra presentare gravi danni, oltre ad un bozzo sulla regione frontale e qualche piccola escoriazione. E’ una donnina compita, di “altri tempi”, allo stremo, ormai, con la discrezione atavica delle nostre donne, anche alla fine, per evitare agli altri il proprio dolore. La risistemano a letto, osservando che tutto rientri o almeno sperano. Era già successo, nel flebile “vigore” della fase terminale, ma la notte passa. E’ San Silvestro, forse un altro anno si chiude per la nonnina, ma è in uno stato di torpore, più o meno vigile. Bisogna chiamare il medico, se ne convincono i familiari, non si può far finta di nulla. Ma, come ormai la legge gli consente di operare, la legge degli uomini, ovvio, il medico di famiglia dice di essere in prefestivo e di rivolgersi alla guardia medica e riaffiora, inesorabilmente, un “Com’è umano Lei” di Fantozziana memoria. Seguono il consiglio, rivolgendosi al presidio di primo soccorso della vicina Laureana di Borrello, così si chiamano le guardie mediche, il sanitario chiede notizie e saputo che la vecchietta era caduta, ritiene inutile andare a visitarla, e non ci va, bisogna portarla in ospedale. Oddio, penso, ecco un altro umano. Impotenti i familiari, rientrati da sei mesi da Torino proprio per assistere l’anziana signora, non sanno che fare e chiedono come comportarsi. Domande semplici, di buon senso, cosa fare. Non sanno se è in coma, né se ha fratture, né se possono staccarla dall’ossigeno. Mi rivolgo al mio amico medico Enzo Rombolà, riconosciuto filantropo della sua professione, Esperto di Bioetica, che, nella sua serafica disponibilità di medico senza mutuati, si reca a visitare l’anziana donna. Vede un quadro alquanto grave e consiglia il trasporto in ospedale per una valutazione TAC, rilevando una situazione neurologia non del tutto chiara, oltre, naturalmente, al quadro generale della signora Catuzza. Il trauma subito, però, disconoscendo la dinamica, induce Rombolà stesso a rivolgersi al 118, per il protocollo dei traumatizzati. Verga due righe e le lascia ai familiari, rasserena la nonnina e si congeda. Il “non preoccupatevi di nulla”, accompagnato da un sorriso, alla legittima richiesta dell’onorario, commuove i familiari e li confonde, è mastodontico. L’ambulanza del 118, arrivata sul posto, opera le normali prassi di protocollo, pone la vecchietta sulla barella di trasporto e si appresta a ripartire, quando il medico del 118, una donna di mezzaetà, rappresenta la necessità di sentire il Dr. Rombolà. I familiari non sanno come contattarlo, naturalmente, me lo fanno sapere con mia madre, abitiamo vicini, e mi appresto a telefonargli per metterli in contatto, mentre mi riavvio verso l’abitazione della nonnina, pensando alla necessità di ulteriori notizie. La conversazione tra i due inizia con i soliti convenevole, quando inizia, da parte della donna, una rampogna, con astio, rivolgendosi al Dr.Rombolà. “Si dovrebbe informare quali sono le pratiche del 118; avreste dovuto portare la signora in ospedale con mezzi propri o ambulanza privata. Lei sa che allertare il 118 senza motivo ci sono delle gravi responsabilità”. Resto allibito, mi avvicino alla stessa: “Signora, ma come si permette, ma lei conosce il dr. Rombolà? Mi ridia immediatamente il telefono”. “Intanto sono una dottoressa non una signora” Azz! Mi rivolgo all’operatore alla guida dell’ambulanza: “Ma è fuori di testa questa? Gli dica di ridarmi il telefono immediatamente”. Lui si appresta a scendere, apre la portiera; si ferma. Non scende. “Gli dica di ridarmi immediatamente il telefono”.

– Ma perché scusi, le deve dare il telefono – chiede l’autista.

– Perché è mio

– Allora se lo prenda

– Me lo riprendo io, da solo?

Va beh, va beh, arrivederci, chiudiamola qui che il suo amico sta facendo un casino!!!! Chiude la telefonata, ridandomi il telefono con un’aria di sufficienza stomachevole. “Io tratto i pazienti come fossero miei familiari, con umanità, dice avviandosi all’ambulanza”. Lo stupore di tutti i presenti era evidente, nessuno proferì parola. Allibiti.

La portiamo in ospedale solo per un fatto di umanità, ripete.

Allora scendetela; lasciatela qui.

Ha più volte parlato di umanità.

Ma conosce il dr. Rombolà, sa chi è, cosa fa, come si comporta con i malati, sa perché è stato qui? Come si permette a cazziare la gente, a fare accademia? A rivolgersi ad una persona che non conosce, intervenuta a sopperire “la vostra barca all’asciutto”, perché i sanitari preposti non sono venuti e lei parla di umanità?

Noi stiamo facendo il nostro lavoro, se la prenda con loro, pontifica l’autista.

E la cosa stava trascendendo, severamente, se non fosse stato per quella antica e nobile indole di chi fu rurale e contadino, che fa tanto signori e non, necessariamente, medici.

Lascia un commento